VIVA - Abstracta vitae
- CSRE - PISTOIA
- 4 set 2019
- Tempo di lettura: 5 min

VIVA!: Abstracta Vitae
Di Claudio Giorgetti
Non si fa alcun male nel voler rappresentare l’invisibile per mezzo del visibile.
Gregorio Magno, Libro IX, Epistola LII, Ad Secundinum.
La vita in tutte le sue innumerevoli manifestazioni ci circonda e ne facciamo parte. Senza averne la coscienza, accanto a noi moltissime espressioni di questo infinito flusso vitale, lottano, spesso in competizione, per assicurarsi un posto nel grande progetto dell’Universo. Ed è un posto effimero, una vittoria momentanea, perché tutto si esaurisce in breve tempo per ricominciare da capo. Questo eterno e ciclico andamento di nascita-sviluppo-morte, riguarda ogni essere vivente e più in generale investe ogni elemento che esiste e “vive”, qui e ora, su questo piccolo pianeta azzurro chiamato Terra. In una apparente casualità di forme, di modi, di strategie, la vita emerge dal caos, dall’informe, dalla materia astratta e non ancora ordinata per generi, per organizzarsi in forme sempre più evolute e complesse. È in questa accezione che qui si intende il termine “abstracta”. Un qualcosa che pur nell’apparente confusione, nel suo non essere ancora definita, nel manifestarsi attraverso la sostanza primigenia non sistemata dalle leggi genetiche, è comunque già presente. Il germe vitale è in potenza già attivo e aspetta solo di manifestarsi attraverso una forma compiuta e riconoscibile. Sia essa una roccia, un cristallo, un filo d’erba, un albero che diventerà con il tempo un gigante vetusto che unito ad altri darà vita ad un bosco, ad una foresta. È anche questa promessa di una crescita nel tempo, del trasformarsi della matrice originaria in forme sempre più complesse, che questo tracciato espositivo intende suggerire.
Questa mostra, è dunque, un inno alla creazione, alle sorprendenti e spesso sconosciute forme con cui la vita ovunque si manifesta, in una visione propositiva e ottimista che si allontana da quel pervasivo e deleterio pessimismo che da troppo tempo accompagna ed ispira le espressioni artistiche e che fa sembrare già finito questo nuovo millennio appena iniziato. Le tre artiste che danno vita a questa esperienza visiva, pur coscienti della realtà che ognuno di noi sperimenta quotidianamente, pur in questi tempi crudi e cannibaleschi dove sembra non ci sia più spazio per la contemplazione, per la bellezza, per lo stupore che un tempo la natura riservava all’uomo che viveva con essa, immerso in essa, timoroso ma rispettoso e pronto a cogliere dall’ambiente ciò di cui aveva bisogno senza distruggerlo, sentono che è arrivato il momento di ritornare a guardare con semplicità ed attenzione il mondo fenomenico partendo dal microcosmo per estendersi poi al paesaggio da cui non è escluso l’essere umano. Ognuna con la sua cifra stilistica, personalissima e ben riconoscibile, utilizzando mezzi espressivi completamente diversi e provenienti da esperienze varie nel mondo della creatività e dell’occupazione, hanno lavorato riflettendo sul significato e la valenza, insondabile data la vastità del significato filosofico, etico, simbolico, e naturalmente biologico, di questo immanente ed eterno Life-Stream di cui ogni cosa fa parte, noi compresi, andando ad indagare le espressioni non ancora definitesi compiutamente, o già evolute sino al disfacimento e pronte per essere riassorbite nell’eterno ciclo di morte e rinascita, o che si manifestano compiutamente per breve tempo, come la vita effimera dei fiori o delle farfalle che vivono solo qualche ora.
Ma quanta fatica per diventare farfalla! E quante trasformazioni. Un mutare continuo di forme di vita sino all’esito finale. Un enorme investimento di energia che in una silenziosa e durissima battaglia si esplicita con il brulicare di esistenze tutte interdipendenti. E così avviene tra le radici di un albero, sotto la sua corteccia, tra le foglie delle fronde, nell’aprirsi e chiudersi dei petali dei fiori, nella produzione dei semi che garantiscono la sopravvivenza della specie. Ogni artista per meglio guidare l’occhio dello spettatore in questo viaggio di riscoperta e riflessione ha prediletto il particolare, il frammento, il pezzetto ritenuto significante, in una visione che della poetica romantica accoglie questo suggerimento, dove la particella è più significativa dell’insieme, aggiungendo il taglio contemporaneo di una osservazione partecipante. Questa fa dello spettatore l’artefice non passivo di una fruizione, un input da elaborare soggettivamente seguendo tracciati interiori di pensiero e di associazioni, uniche ed esclusive per ogni persona. Non c’è dunque la pretesa che quel frammento, quel particolare, debba stimolare in tutti quel sentimento di disorientamento, vertigine, fascinazione e, perché no, anche timore che la natura e tutte le sue manifestazioni suscitavano nell’epoca romantica e di cui l’arte del tempo ben ci rappresenta gli ideali. No, in questo caso le tre artiste ci vogliono stimolare ad una indagine altrettanto gravida di conseguenze ma accompagnandoci con passi lievi e sicuri su un sentiero che è quello della consapevolezza. Sembra non sia più di moda perseguire un significato nell’arte. Questo spinge a domandarsi che cosa allora offra gran parte dell’arte contemporanea al posto del significato, dato che non è palesemente concentrata né sul piacere visivo né sull’esaltazione della tecnica fine a sé stessa e neppure su un’efficace critica storica. In alcuni casi le arti contemporanee hanno abdicato alla Manualità.
Mettere mano alla materia spesso sembra essere un tabù. Colui che “pensa” l’opera, sovente, non la realizza materialmente e si avvale di artigiani e tecnici, sparsi per il mondo, ognuno dei quali opera solo su un segmento del progetto, ritenendo più nobile evitare di riprendere in mano non solo argilla, pietra, polveri, pigmenti, pennelli, spatole, percussori ma anche macchine che imprimono su pellicola e in digitale. Insomma tutto ciò che va manipolato è “superato”. Fasi da delegare ad altri. Nel caso delle tre artiste si assiste invece al processo inverso. Partite, anche per motivi di lavoro, espresso al di fuori dell’ambito artistico, da realtà dove la tecnologia è dominante e si rinnova compulsivamente, hanno riscoperto la materia prima. La terra, la pietra, Il legno, i metalli e le magie del fuoco che li trasforma, la dolcezza e la forza dell’acqua che li scioglie e li addomestica. O la “semplicità” di uno scatto o di una ripresa senza effetti speciali Hollywoodiani.
Non aver paura di mettere le mani nella materia e darle forma è un atto taumaturgico, propiziatorio, e reverenziale ad un tempo. È un atto antico. In armonia con la natura. La natura una volta non ci era estranea. Quella che rimane, quella non ancora violentata, vilipesa e degradata, è ancora qui in attesa che ci si accorga di lei e come una volta se ne ritorni a far parte, perché è l’unica terapia possibile contro il male di vivere metropolitano. Le tre artiste qui esposte, ognuna per vie diverse, lo hanno prima intuito e poi sperimentato e possono testimoniarcelo, soprattutto attraverso le loro opere. E non ci meraviglieremmo se le sentissimo cantare, magari sottovoce quando lavorano, la strofa di una celebre canzone di Violetta Parra che dice: Quando starò male i fiori del mio giardino saranno i miei infermieri.
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