TEMPO DI BOMBE TEMPO DI SEMINA
- CSRE - PISTOIA
- 27 mar 2023
- Tempo di lettura: 4 min

CHIARA DAZZI
LO SPAZIO NATURALE, L’UOMO, L’AMBIENTE, COME LUOGO INTERIORE DA RAPPRESENTARE.
di Claudio Giorgetti
Per Chiara Dazzi fare arte è stata una logica conseguenza che prolunga una attitudine familiare di lunga data. L’artista è figlia d’arte. Nonno e padre, famosi artisti del ‘900 italiano, le hanno trasmesso l’impulso prepotente a creare. Chiara ha raccolto questo invito e lo ha strutturato in un lavoro che ha nella pittura la sua espressione compiuta. La for- mazione dell’artista si appoggia solidamente agli studi compiuti all’Accademia di Firenze per poi svilupparsi durante i suoi viaggi ed il lungo soggiorno negli Stati Uniti. È l’Arte Americana che segna e colpisce la nostra autrice, che rivolge ad essa tutta la sua attenzione lasciandosene felicemente e senza rimpianto influenzare. L’arte a cui guarda Chiara è la vera e originale Arte Americana. L’Arte dei Pionieri. Quella che ha nel suo codice genetico solo sé stessa. Quella che non dipende dall’Euro- pa, che non è condizionata da secoli di arte e di discussioni sull’arte che ne hanno complicato la percezione. L’arte a cui guarda Chiara è quella che oggi finalmente si riconosce come la più genuina espressione del Nuovo Mondo. Un’arte che porta con sé la “selvaggeria” dei grandi spazi. Lo stupore e lo sgomento davanti a territori vergini, sterminati, ignoti.[...] Chiara non ha paura della natura. Ci vive dentro. Ne condivide tempi e ritmi. Abita in un bosco dell’Appennino Tosco-Emiliano e della natura ormai conosce magie e sortilegi e l’impietosa crudeltà dell’eterno ci- clo della vita. Nascita, crescita, sviluppo, decadenza, morte, rinascita, e così via. In questa visione la chiave ultima di creare bellezza sta nel suo legame con la temporalità. Ogni ritratto di Chiara è un testamento che dichiara l’appartenenza del soggetto alla vita che viviamo. Qui ed ora. Con una lucida visione sincronica, all’artista interessa consegnare un frammento di realtà vissuta in questo istante. Se anche c’è stato un prima non ci deve interessare, se mai ci sarà un dopo non lo possiamo sapere. Dunque l’artista ci obbliga a considerare solo il frammento di tempo congelato sulla tela.[...] Le ultime opere di Chiara Dazzi formano un Calendario Perpetuo che scandisce i tempi di semina, di crescita, e di raccolto. Come negli an- tichi Almanacchi i mesi e le stagioni sono segnati dalle cose da fare, da quello che serve perché la Madre Terra torni a produrre e sosten- tarci. Un unico personaggio, ritratto in varie pose che sono quelle dei lavori nell’orto e nei campi (aratura, semina, diserbo, riposo), segna le varie fasi epocali dell’anno. Questo contadino, uno-nessuno-centomi- la, è ognuno di noi. È l’archetipo dell’essere umano che ha riscoperto l’essenzialità dei gesti primari, di ciò che conta ed è importante. I colori solari, caldi, ricchi di riverberi sottolineano questi momenti resi con vi- brante partecipazione ed immersi nel tempo immobile dell’eternità.
NABY
O IL TEMPO DEL RITORNO.
di Claudio Giorgetti
“Play with us”, l’intallazione presentata con successo in più di un’oc- casione (durante le iniziative parallele della Biennale di Venezia del 2019) è qui smontata e riproposta con un significato nuovo e di strin- gente attualità. In quella occasione un cavallo da giostra decorato, dipinto, rivestito dall’artista, era messo a disposizione del pubblico che era invitato a montare in sella ipotizzando una cavalcata al di fuo- ri del contesto. Una galoppata della mente. Esperienza performativa che tra l’altro metteva in gioco la capacità dell’adulto, serio, raziona- le, a tornare fanciullo liberandosi per qualche momento dai condizio- namenti assorbiti. In realtà, ben lungi da “liberare” le energie laten- ti, questo lavoro ha avuto il pregio di normalizzare eventuali risvolti drammatici per far emergere ed enfatizzare le inibizioni. Musica composta appositamente ed una scritta al neon completavano l’insieme. Oggi non è più così. Naby è andata oltre e l’esito del suo percorso creativo è questa nuova e articolata opera. I cavalli non galoppano più. Questo splendido animale, soggetto preferito per molti artisti durante il tempo (si pensi a Miller, Boucher, Delacroix, Fattori, Marini, etc...), questo animale emblema del movimento, della velocità, della libertà, nel lavoro di Naby è ormai un simulacro svuotato di tutta l’energia e la forza che gli si attribuiscono. Giace a terra. Morto. Privo di funzione e quindi di valore. La corsa è finita. Nessun essere umano potrà più salire in sella. Le splendide e smaglianti dipinture con le quali l’artista ha colo- rato i suoi cavalli, ormai non bastano a dare calore e vita. Nelle loro note squillanti, sottolineano ancora di più l’inerzia e l’agonia che l’artista ha voluto mostrare. Alle pareti scorre tutta una teoria di opere che in parte ripropongono il cavallo con arditi collage di sicura presa visiva, e in gran parte ci guidano alla scoperta del ciclo di lavori che va sotto il titolo di “Falene Meccaniche”. Ma togliamoci subito dalla testa che queste opere, così risolte, precise, puntuali, cartesiane, siano consolatorie. Non lo sono affatto se si pensa che la falena, riproposta ossessivamente con varianti minime, ma che la rendono sempre nuova, altro non è che la rilettura che l’artista dà del LOCKEED F117- NIGHTAWK. Il cacciabom- bardiere a delta, non rilevabile dai radar, con dipintura che lo occulta alla vista, veloce e silenzioso. Micidiale. Un perfetto ed ipertecnologico strumento di morte. Di distruzione di massa. Simbolo del raid notturno dello “schiaffo al buio”, dell’annientamento. Naby lo riduce alle sue li- nee essenziali, un delta, una V che come una freccia scende in picchiata.
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